LeBron James, ecco perché è a mani basse ancora il numero uno

Ha fatto la storia della Nba e sta continuando a scrivere record su record. Stiamo parlando nientemeno che di LeBron James, pronto a riconquistare il suo secondo titolo di fila con i Lakers, come ben sanno tutti gli appassionati di scommesse sportive che stanno provando a capire chi possa essere la franchigia favorita per vincere l’anello.

Meglio anche di Kareem Abdul-Jabbar

Alla veneranda età di 36 anni, alzi la mano chi avrebbe mai potuto pensare che LeBron si potesse esprimere ancora su questi livelli. Come sottolineato in un interessante approfondimento che è stato pubblicato su L’insider, però, uno dei più grandi giocatori nella storia della pallacanestro a stelle e strisce, si fa preferire anche a un altro big del basket mondiale, a questa età, come Kareem Abdul-Jabbar.

È chiaro che prendere in considerazione la storia della Nba non è semplice per poter trovare un buon paragone. Giusto per fare qualche esempio, il più grande di tutti, a detta di molti addetti ai lavori, Michael Jordan, a trentasei anni, si riposava all’ombra del suo giardino per il secondo anno di fila dopo aver appeso le scarpe al chiodo. Salvo poi riprendersi la scena in una data che, purtroppo, è passata alla storia per altro, ovvero l’11 settembre 2001, in cui annunciava il suo secondo ritorno sui parquet della Nba.

Bryant, al contrario, a 36 anni giocava ancora, anche se i problemi fisici si cominciavano a fare largo nella sua carriera, con l’intervento alla spalla destra che lo ha cominciato a limitare notevolmente. Certo, Kobe era ancora in grado di infilare 22 punti ad ogni allacciata di scarpe, ma più in generale i suoi Lakers non erano assolutamente una squadra in grado di competere per il titolo, anzi.

Giocare in post e tirare dalla lunga distanza

Correva l’annata 2007-08 quando il tecnico dei Celtics Thibodeau, famoso per la sua difesa estremamente efficace, prese la decisione di cambiare l’approccio difensivo di Boston con l’intento di mettere un freno alle straordinarie prestazioni di James.

In poche parole, l’obiettivo era proteggere più che mai il ferro, costringendo James a prendersi dei tiri dalla media e da tre punti e, inevitabilmente, prestando il fianco al resto della squadra sul lato debole. Se il vantaggio di James in quegli anni, quando vestiva ancora la maglia numero 23 di Cleveland era proprio lo strapotere fisico e atletico, tale mossa portò chiaramente a mettere in luce alcuni suoi limiti.

Di conseguenza, tale situazione non fu altro che la motivazione necessaria per mettersi a lavorare ancora di più su quelli che erano i propri limiti. Ovvero sia la predisposizione al passaggio che il tiro da tre punti, ma anche l’intensità e la ferocia legata al gioco in post.

Ebbene, proprio il lavoro che è stato fatto su questi fondamentali ha cambiato il modo di giocare di LeBron, ma l’ha reso al tempo stesso sempre meno prevedibile, in grado di essere ancora più un fattore sul terreno di gioco. Non che l’atletismo e l’agonismo siano calati, visto che a 36 anni è in grado di mostrare ancora dei balzi impressionante, eppure oggi tali cambiamenti hanno permesso a James di diventare ancora più incisivo, soprattutto in partite in cui gli avversari lo spingono verso tali soluzioni.

L’esempio più clamoroso è contro San Antonio: nel 2011 lo costringono a utilizzare solo il jumper dalla media distanza e LeBron fallisce miseramente. Due anni dopo vincerà l’anello esattamente grazie a quel tipo di tiro. Insomma, LeBron James è un vincente anche e soprattutto per via del fatto che ha voluto sempre lavorare fortissimo sui suoi limiti sul parquet.

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